“Quali sono le razze migliori per la pet therapy? Posso fare volontariato?”
Tra le domande più frequenti che ci vengono rivolte c’è in primis quali razze di cani sono più adatte per operare negli interventi assistiti con gli animali (pet therapy-iaa).
Sicuramente alcune razze hanno una particolare predisposizione, come per esempio i retrivers labrador, golden flat , ma soprattutto incide il carattere dell’animale, nonché del soggetto con cui deve relazionarsi. La soggettività e l’unicità dell’animale fa la differenza sostanziale.
Non esiste dunque un cane giusto per ogni reparto o ogni patologia, per quel paziente o intervento, ma il compagno animale viene accompagnato e scelto fin da piccolo, e seguendo un percorso base, che non fa altro che rafforzare la usa indole e la sua prosocialità. Operare per esempio in un ospedale non è affatto semplice o spontaneo per un cane. Il cane non nasce per “stare nella complessità della cura” ma nonostante questo può fare la differenza. E la fa. Per esempio in un reparto oncologico, dove il clima è di paura e il bimbo e la sua famiglia vivono un blocco delle emozioni, è importante attivare una relazione che incida sugli aspetti depressivi. Il cane ‘ideale’ dunque in questo contesto ha caratteristiche di calma, leggerezza, contenimento, promuove il sorriso e procura emozioni positive e di tranquillità.
In una rianimazione-terapia intensiva dove il bambino o adolescente è allettato in mezzo a macchinari e in area critica, è necessario rompere uno schema di quotidianità sempre uguale. L’animale rappresenta una diversità, colpisce l’attenzione, incuriosisce, ecco che il temperamento dinamico ma autoregolato può stimolare gli aspetti riabilitativi.
Ma spesso non conta la razza perché anche i cani meticci sono molto capaci e sorprendentemente talentuosi. I cani piccoli per esempio possono accoccolarsi sulle gambe di un paziente durante una visita riducendo lo stress, e costruendo un intimità emotiva. Talvolta anche salire sui letti di pazienti che sono in convalescenza e non possono alzarsi. E quindi non conta la carta d’identità.
Ma non tutti i cani possono fare operare in questo ambito delicato, quale la mediazione animale, neanche delle razze più predisposte. E soprattutto non esiste volontariato in questo settore: ci vuole formazione, sia dell’animale che dell’operatore. Essendo una co-terapia che integra, rafforza e coadiuva le tradizionali terapie che può essere impiegata su pazienti affetti da differenti patologie con obiettivi di miglioramento comportamentale, fisico, cognitivo, psicosociale e psicologico-emotivo, non si può improvvisare.
Quasi quotidianamente ci troviamo a rifiutare la squisita e genuina disponibilità di persone che si candidano a venirci a dare una mano gratuitamente insieme al loro cane “che è tanto buono e ama stare coi bambini”. Non è possibile: dietro un lavoro di interventi assistiti con gli animali c’è una lunga formazione dell’operatore umano e anche del cane che fin da piccolo, viene allevato ed educato per prendersi cura degli altri e allo stesso tempo per tutelare se stesso ed è sottoposto a costante monitoraggio durante tutta la crescita e il percorso educativo da medici veterinari comportamentalisti.
Tutte le specie animali possono intervenire?
Sia a livello italiano con le Linee Guida Nazionali sugli Interventi Assistiti con animali, che a livello internazionale (Animal Assisted Intervention), possono operare le specie domestiche di cui è conosciuto l’aspetto comportamentale ed etologico, oltre al cane gatto e al cavallo, sono anche l’asino e il coniglio. Alpaca, galline e cavie ancora non sono stati ammessi a livello scientifico nei protocolli standardizzati, anche se esistono sperimentazioni interessanti, e sono specie animali ma attirano attenzione per le loro potenzialità relazionali, visti gli ottimi risultati dei colleghi svizzeri e tedeschi. Non dimentichiamo inoltre che l’aspetto del benessere animale è sempre più al centro dell’attenzione, ma ancora troppo sottovalutato nell’opinione pubblica e tra gli specialisti . Non tutti gli animali possono essere collaboratori speciali: a livello bioetico è fondamentale sempre chiedersi il loro “punto di vista”. In altri Paesi è possibile anche operare con specie non domestiche, come delfini e rettili, ma va sempre garantita in primis la sicurezza dell’animale e del paziente e anche il corretto utilizzo di procedure igienico sanitarie, sempre nell’ ottica della salvaguardia di entrambi i protagonisti.
Non si nasce per essere attori di Cura. Lo si diventa insieme e lo si vive con rispetto e un vincolo di reciprocità.