Pet Therapy? Lavorare nella complessità.
Quando si parla troppo di un determinato argomento, a volte sfugge il filo logico e il senso vero del percorso e prevale l’emotività l’impasse.
Così mi sembra adesso sulla materia degli Interventi Assistiti in cui oltre ad un ancora timida e talvolta contradditoria disomogenea riconoscenza legislativa, manca soprattutto un pensiero sulla complessità, un’armonia di concetti e di riferimenti e percorsi.
Lo dico da tempo e lo penso in realtà da sempre, ossia dall’inizio del mio avvicinamento alla pet therapy negli anni ’90.
Chi come me ha una formazione in primis filosofica, non ha paura delle idee, del rigore, dell’inizio e della fine di un pensiero logico astratto, dei limiti del non capire o etichettare subito tutto, conoscendo bene le difficoltà e le necessità di far crescere i percorsi solo se questi sono segnati da un pensiero razionale e accurato, che necessita di tempo e di riflessione e confronto.
Accade però stranamente che quando si parla di animale e di pet therapy tutto questo si blocchi , si invertano le categorie razionali e sparisca il buon senso.
Si arrivi addirittura a inventare le cose. Insomma: un pensiero all’ingiù!
Appare così difficile definire ruoli e confini, non sulla carta o sui protocolli, di questo lavoro, ma nella realtà delle cose. E alla fine si genera un caos in cui tutti fanno tutto per chi o per che cosa spesso non si sa, tanto meno si conosce il come.
Si parla di stili personali, di scuole, modelli… senza sperimentare, senza confrontarsi, senza aver fallito tanto, tante volte, senza dubitare su quale sia la strada giusta, con onesta intellettuale.
Perchè anche il fallimento ha un ruolo fondamentale in questo percorso, come in tutto del resto.
Immagino che in pochi nella opinione pubblica, in chi ascolta e si commuove ed emoziona vicino al viso di un bambino e un cane, sappia quanto e quale lavoro, fatica e qualità intellettuali di mente e di rielaborazione si celino dietro quell’incontro, in quei soggetti a quattrozampe e nei loro bipedi mediatori professionisti.
Ma il mio non è un desiderio di riconoscimento di un percorso: andiamo avanti da anni su un modello complesso e lungo, sperimentato nella sanità pubblica e riproposto in molti altri contesti di cura e questo sta dando, per fortuna, moltissimi e positivi risultati.
Ma di una cosa sono sicura: se in questa materia non si comincia a parlare di interdisciplinarietà, se non si riesce ad instaurare e implementare un dialogo,s evitando un posizionamento nel ruolo e nelle rigidità di parte, di sezione, non arrivereremo a cose buone e durante il percorso si rischia di dimenticare la vera finalità di questi splendidi interventi.
Un gruppo di persone una somma di competenze, non è interdisciplinarietà. Un ente gruppale che opera per trovare soluzioni e confrontarsi spostandosi da sé, andando in primis verso l’alterità, che sia dell’animale che del bambino dell’anziano: è pensiero gruppale.
Gli interventi assistiti hanno un loro luogo e un loro spazio: non ogni luogo e non ogni spazio possono ospitare una relazione così complessa come quella che è in atto nel dialogo emotivo e psicodinamico che si svolge nella pet.
Non tutti possono fare un lavoro del genere, sia per formazione, sia per capacità di lavorare sullle proprie emozioni e sentire quelle degli altri. Non basta la buona volontà o l’amore per qualcosa di specifico per essere in grado di farlo, di farlo per davvero.
Qui si lavora solo per la cura dell’altro con e insieme ad un essere senziente, vivo, che respira il tutto, l’animale.
Poi c’è ancora un “altro” che spesso è in difficoltà. Le rigide categorie non immunizzano da tutto questo. Il sentire è un unico.
E’ quindi fondamentale per chi opera in questo settore prendersi cura della propria mente emotiva , avere una formazione che sia un processo di crescita, non una manciata di ore senza capo nè coda. È necessario poi un dialogo costante e uno scambio con il proprio gruppo formato con un modello di riferimento e capace di raccontarsi, di mettersi a nudo in un lavoro, bellissimo, ma che va troppo dentro e profondamente nella corda delle emozioni più potenti.
Il mio è un pallido ottimismo in fin dei conti e vedendo le tante buone pratiche e i buoni progetti poco “urlati” prima sperimentati nel tempo e poi comunicati direi che c’è da ben sperare e buono spazio di costruzione
Gli sguardi dei genitori, i sorrisi e la crescita dei bambini, le parole degli anziani o le intenzioni dei ragazzi difficili ci fanno capire che tutto sta andando nella strada giusta.
Gli animali portano relazioni. Con loro proponiamo pezzi di noi, ci mettiamo a nudo.
Pendersi cura di chi cura per primo…. con buona formazione, buon pensiero e tanti tanti dubbi, con onesta è semplicità, auguro a tutti noi questo”
Francesca M.