La violenza nei giovani: deficit relazionali da superare in natura
di Francesca Mugnai
È notizia quotidiana di violenze verbali e ancor più fisiche che hanno come protagonisti attivi dei ragazzi sempre più giovani. Un’escalation che, oltre a registrare, dobbiamo tentare di comprendere per fermarla, analizzandone i motivi.
Spesso cataloghiamo il fenomeno all’interno del grande mucchio delle “conseguenze del Covid”. Certo, l’isolamento forzato, l’interruzione delle relazioni sociali, la sostituzione del contatto visivo e fisico con la multimedialità, hanno infierito in particolare sull’età adolescenziale, in cui il rapporto diretto e umano ha un valore immenso e permette di crescere meglio, per traghettare nella complessa vita degli adulti.
Ma non possiamo ridurre il tutto solo a questo. Ci sono una serie di fattori che determinano il ricorso alla violenza, partendo da carenze affettive, familiari, scolastiche, sociali. A volte una serie di concause e di eventi avversi.
La violenza verso l’altro è anche mancanza di conoscenza di sé. È sintomo di poco rispetto per se stessi e per gli altri. Le violenze considerate (ma per noi non lo sono) “minori” contro beni comuni e soprattutto contro gli animali, sono spesso predittori della violenza verso le altre persone, verso qualcosa di esterno da sé.
C’è il più delle volte un deficit di relazione. Arriva quando non si è stati sufficientemente educati ai sentimenti e alle emozioni, nella teoria e nella pratica, nella relazione con l’altro. E con se stessi.
La natura anche in questo può essere un aiuto, soprattutto in termini di autoregolazione.
Di fronte alla natura noi diventiamo passivi. Non possiamo controllare il calore, la luce, gli spazi, i colori, il tempo, i cicli, gli eventi naturali. Non poter trasformare questi aspetti, rappresenta una dimensione normativa alla quale non possiamo che adattarci.
Se la violenza è un modo per trasformare qualcosa in maniera repentina con un’attività importante, la natura ci ferma. Ci concede il tempo dell’attesa.
Non siamo noi a trasformare, ma lei a trasformare noi. Ci fa entrare in contatto con noi stessi grazie ad elementi che aiutano a ad attendere e a sviluppare la sensorialità. Stimolano la nostra memoria più antica e primitiva e ci permettono di riappacificarsi con parte di noi.
Nel mio lavoro nelle comunità di adolescenti fragili, nei luoghi di detenzione, nei reparti di psichiatria, ho spesso notato come l’opportunità di vivere esperienze all’aria aperta e in ambiente naturale rappresentino una sorta di stop emotivo. Una pausa che ci permette di riflettere, di rientrare in noi stessi, di far pace col nostro mondo interiore. E anche quello esterno.