Gli animali nei contesti di cura: paura igienica, tra realtà e pregiudizio
Questa settimana propongo nel mio blog una lunga e approfondita intervista al Dott.Klaus Peter Biermann,infermiere epidemiologo e componente del Comitato per il controllo delle Infezioni ospedaliere della’Azienda ospedaliero-universitaria Meyer di Firenze, che ci racconta la sua esperienza nell’ambito dei protocolli di IAA. Insieme rifletteremo su come è possibile l’accesso e la presenza dei cani in ospedale, e quali sono i reali rischi igienici. Il Dott.Biermann da sempre amante degli animali, vive in campagna con due cani e due gatti.
Buona lettura Amici.
Francesca Mugnai
Secondo la sua esperienza quali sono i reali rischi igienici per l’introduzione degli animali in strutture ospedaliere?
La sicurezza igienico-sanitaria nelle strutture ricettive sanitarie riveste da sempre un ruolo centrale nell’organizzazione e nell’offerta di cure e assistenza. Ne è testimonianza il fatto che, prima di tutto in campo medico, più tardi anche in quello infermieristico, sono nate specializzazioni e strutture interne ai nostri ospedali che si occupano proprio di questo aspetto.
Le infezioni ospedaliere, cioè quell’infezione che non era né presente né in incubazione al momento del ricovero in ospedale e che oggi preferiamo chiamare con la dizione “infezioni correlate a pratiche assistenziali”, perché meglio descrive il concetto, sono da sempre un problema di primaria importanza nell’erogazione di assistenza sanitaria.
L’indagine di prevalenza delle infezioni ospedaliere che l’European Centre for Disease Prevention and Control di Stoccolma ha condotto negli ospedali europei durante il 2011 ha evidenziato il permanere di una criticità nota (anche se ridotta rispetto ai risultati di simili indagini precedenti): a 6 su 100 persone che si rivolgono a noi per la soluzione di un loro problema di salute, procuriamo un problema che non avevano, cioè un’infezione che contraggono durante il loro ricovero nei nostri ospedali.
Le evidenze scientifiche internazionali ci confermano che è impossibile eliminare completamente il rischio delle infezioni ospedaliere, la disciplina della gestione del rischio clinico, che sembra, ma non è un’invenzione dei nostri tempi ci insegna a gestire il rischio in termini di riduzione dello stesso al minimo accettabile. Per fare un esempio, voglio ricordare Ignác Semmelweis, quel medico ungherese che nel 1847 dimostrò che era sufficiente eseguire una corretta igiene delle mani per ridurre più del 50% i decessi per febbre puerperale fra le donne partorienti ricoverate in ostetricia dell’Allgemeines Krankenhaus a Vienna.
Ma il problema è un altro, dobbiamo garantire alla persona ricoverata, oltre alla soluzione del suo problema di salute in termini di guarigione o gestione della cronicità, sicurezza e comfort, anche la possibilità di sperimentare benessere psichico. I benefici legati all’introduzione di animali nelle strutture ospedaliere sono ormai avvallati da un corpo di evidenze scientifiche, in parte ancora limitato ma in costante accrescimento. Il nostro Ospedale con il progetto di IAA condotto da più di 10 anni dalla Associazione Antropozoa, rappresenta ancora una unicità. Questi interventi si esprimono, per esempio, come efficaci misure contro la depressione reattiva, l’ansia, la solitudine, spesso componenti dell’illness behaviour in occasione di un’ospedalizzazione, facilitano la qualità percepita della salute e concorrono alla distrazione dal dolore.
La Delibera della Giunta Regionale della Toscana n. 1233 del 22/12/2014 che crea le condizioni per l’accesso di cosiddetti animali d’affezione nelle strutture ospedaliere si basa su una serie di normative in materia che partano dal lontano – ormai parliamo di 60 anni! – come per esempio il DPR n. 320 del 1954 (Regolamento di polizia veterinaria), normative che prevedevano già allora l’accesso di animali nei luoghi pubblici.
“Questa delibera è un enorme e coraggioso passo in avanti perché aggiunge un potenziale non indifferente all’approccio olistico del concetto di caring, del prendersi cura della persona, e cioè, il possibile ricorso al rapporto uomo-animale come intervento benefico nel processo di ristabilire l’ “omeostasi” psico-fisica disturbata dall’ospedalizzazione.” Certo, mentre interventi gli interventi assistiti con gli animali, si svolgono in condizioni “protette” (la coppia uomo-animale ha condiviso uno specifico percorso formativo che abilita entrambi a svolgere quest’attività, l’animale è sotto costante controllo medico-veterinario, gli interventi sono mirati e circostanziati, l’uomo è perfettamente in grado di interpretare il comportamento del suo partner animale, ecc.), non si può affermare che fare visitare la persona ricoverata dal “suo” animale sia cosa identica. Le condizioni “perfette” citate per la pet therapy non sono a priori garantite in questo caso e ciò può creare problemi di realizzazione della visita, poiché non possiamo assolutamente prescindere dal dovere di garantire la sicurezza e l’incolumità delle persone presenti in ospedale.
Oltre ai rischi legati a comportamenti indesiderati, non ben governati, esistono i rischi di natura infettiva. La medicina accademica attribuisce all’animale il ruolo di vettore, cioè di colui capace di trasmettere non soltanto zoonosi diffusibili anche fra gli umani ma anche di microrganismi patogeni per l’uomo.
Quali sono le malattie che un animale può trasmettere ai bambini?
L’animale di compagnia, d’affezione, l’animale che vive con noi nelle nostre case difficilmente trasmette malattie se i suoi uomini sono persone responsabili e hanno cura di loro come hanno cura di se stessi.
Ciò premesso, vediamo, in via teorica e seguendo l’insegnamento della medicina accademica, quali sono malattie potenzialmente trasmissibili attraverso animali. Ci sono le infezioni batteriche che si possono manifestare a livello dell’apparato gastro-intestinale (Salmonella, Campylobacter, Escherichia coli, Clostridium difficile, Ciardia, ecc.), funghi ed ectoparassiti che provocano manifestazioni dermatologiche (dermatofiti, pulci, zecche, acari, ecc.) ed endoparassiti con il loro quadro clinico complesso (ascaridi,anchilostomi, tenie, ecc.).
Con i veterinari si potrebbe aprire un’accesa discussione su questo, e a ragione! Per renderla ancora più interessante, aggiungiamo anche la rabbia all’elenco delle malattie trasmissibili.
Ripeto, proprio in funzione della solidarietà reciproca anche in termini di salute escluderei la possibilità che l’animale che vive con noi possa trasmettere queste malattie.
Quali sono i punti di forza e le criticità dei protocolli delle aziende?
I nostri protocolli e le nostre procedure aziendali hanno spesso (ancora) il dilemma di presentarsi come elaborato complesso, persino prolisso e fin troppo “burocratico” e finiscono regolarmente di essere ignorati proprio da coloro ai quali erano destinati.
Non voglio essere frainteso: in un momento storico del nostro aggiornamento professionale era assolutamente necessario abituarsi alla stesura di questi documenti e seguire un modello che era quello della certificazione ISO9001, ci ha aiutato e ci ha fatto crescere.
Ora bisogna trasformarli in vero e propri attrezzi di lavoro quotidiano per fare sì che non rimangano carta e diventino strumenti per la realizzazione corretta e completa delle attività che vogliamo svolgere.
Ed è proprio questo il punto di forza: questi documenti ci permettono di svolgere gli interventi assititi con animali in tutti i settings assistenziali, persino nella rianimazione o in oncoematologia, e ci permettono anche la vista del proprio animale alla persona ricoverata.
É importante che il personale sia formato a quest’attività?
La formazione del personale è una condicio sine qua non, soprattutto se vogliamo realizzare in sicurezza ciò che ci propone la delibera della Regione Toscana e che gli americani chiamano “personal pet visitation”.
Deve essere una formazione molto articolata, che combina momenti di apprendimento teorico in aula con esercitazioni pratiche sul campo ed eventi periodici di re-training e aggiornamento.
E’ importante che le persone arruolate in questi corsi siano operatori sanitari volontari, capaci di gestire un rapporto uomo-animale e che i corsi trattino alcuni argomenti principali come la normativa sulla tutela degli animali d’affezione, la diffusione ospedaliera delle patologie trasmissibili tra animale ed essere umano, gli aspetti psicologici e comportamentali del personal pet visiting, elementi di salute olistica degli animali e comunicazione non verbale.
Secondo la sua esperienza perché c’é ancora così tanta resistenza psicologica e culturale nell’accettare gli animali nelle strutture sanitarie?
All’inizio della nostra intervista abbiamo parlato della sicurezza igienico-sanitaria che dobbiamo garantire ai nostri assistiti e come l’introduzione di animali potrebbe costituire un problema in termini di un aumento del tasso di infezioni ospedaliere se non avviene rispettando certi criteri.
In effetti, la condivisibile preoccupazione dei responsabili sanitari al momento della decisione pro o contra gli animali d’affezione nei loro ospedali è proprio questa. Piuttosto che rischiare in una situazione di incertezza, soprattutto normativa, e di evidenza scientifica non ancora abbastanza robusta rinunciano ad attività che non sono obbligati a svolgere, accettando così di ostacolare la realizzazione di interventi assistiti con gli animali della cui efficacia potrebbero essere, forse, anche personalmente convinti.
Non occorre coraggio (o almeno non al momento della decisione, perché se c’è, non nuoce e serve sicuramente per la realizzazione di attività assistite con animali negli ospedali che spesso incontra opposizione e anche ostruzionismo) ma una pratica rigorosamente basata su evidenze scientifiche.
Il Center for Disease Control and Prevention di Atlanta negli Stati Uniti, altra istituzione di importante riferimento per i sanitari, nell’ormai lontano 2003 ha pubblicato le Linee Guida per il controllo ambientale delle infezioni nelle strutture sanitarie. Queste Linee Guida dedicano un intero capitolo agli animali sotto tutti gli aspetti, dagli animali da laboratorio fino agli animali impiegati nelle attività assistite.
Le Linee Guida ci forniscono “raccomandazioni” che ci aiutano a svolgere correttamente e in sicurezza il lavoro come sanitario. Ebbene, le raccomandazioni per la presenza di animali nelle strutture di ricovero sono di una semplicità disarmante; il loro rispetto diminuisce al minimo il rischio igienico per l’introduzione degli animali a quattro zampe.
La nostra ormai più che decennale esperienza con la presenza di animali persino nelle stanze di degenza nelle situazioni più delicate, ci permette di affermare che nel pieno rispetto delle raccomandazioni delle Linee Guida citate possiamo minimizzare al massimo il rischio e svolgere queste attività in assoluta sicurezza.
Non abbiamo mai avuto episodi dannosi ricollegabili alla presenza di animali nella nostra struttura.
In altri paesi come é la situazione?
Nel continente nord-americano possiamo trovare una notevole attività in materia di attività assistite con animali, molti stati hanno formulato regole proprie. Nel 2008 l’American Journal of Infection Control ha pubblicato delle Linee Guida specifiche per gli interventi assistiti con animali nelle strutture sanitarie. Possiamo dire che le esperienze fatte nell’America settentrionale hanno sicuramente facilitato l’implementazione delle attività assistite con animali nel mondo anglosassone in generale.
L’Europa si sta mettendo alla pari: è sufficiente consultare l’elenco dei membri dell’International Association of Human-Animal Interaction Organizations per accorgersi che qualche cosa si sta muovendo anche qui.
La delibera della Regione Toscana in questo promette di diventare un apriporta al di là dei confini regionali.