Congedo per il proprio animale: riconosciuto lo status di relazione
di Francesca Mugnai
La notizia arriva da New York: potrebbe essere la prima città ad approvare una legge che permette ai dipendenti il congedo retribuito non solo in caso di malattia propria o dei familiari stretti, ma anche per i propri animali domestici.
È la dimostrazione che l’animale sta diventando a livello anche normativo un riferimento affettivo importante. È il riconoscimento di uno status di relazione al pari di una persona, di un parente, di un amico.
Se diventa legge, ma anche solo il fatto che si ipotizzi una norma in tal senso, significa che culturalmente questo cambiamento è già in atto.
Sappiamo il valore degli animali domestici. Sappiamo che sono un antidoto alla solitudine, che sono una risposta al nostro bisogno di “prenderci cura” che ricambiano nei nostri confronti. Sappiamo – ed è scientificamente provato, ormai – che la presenza di un animale fa bene a livello fisico-chimico (cortisolo, diabete, circolazione…) e psicologico; sappiamo – e noi ne abbiamo mille testimonianze – che gli Interventi assistiti con gli animali sono utili in numerosi casi come coterapia importante. Sappiamo che gli animali sono sentinella per la salute degli anziani, nonché stimolatori di movimento e dunque di benessere.
Ma ora abbiamo anche la prova che è in atto un cambiamento storico di paradigma rispetto al rapporto tra l’essere umano e l’essere animale, tra la persona e il suo pet. Riconoscere la necessità di un congedo per seguire il proprio amico a quattro zampe che non sta bene, è la normalizzazione culturale di un legame profondo, personale, affettivo.
Ovviamente permane il rischio di umanizzare il proprio animale, di renderlo “più” delle persone. Invece – e non mi stancherò mai di ricordarlo – l’animale è un animale e come tale va rispettato, con le sue necessità che non sono quelle umane, ma sono proprie, forti, fondamentali. Il suo benessere psicofisico passa anche dal rispetto delle sue necessità non umane. Ricordiamocelo sempre: amiamolo e curiamolo nel suo essere animale, che è quanto di più importante per lui. E spesso per noi.