Come il Covid 19 cambierà la pet therapy e il rapporto uomo-animale
Questo periodo, che ricorderemo a lungo, porterà molti cambiamenti, nel nostro modo di rapportarsi agli altri, nella nostra percezione della cura e della protezione personali, ma anche nella relazione tra uomo e animale.
Gli interventi assistiti , che nel 90% dei casi per me si svolgono in strutture sanitarie, è stata tra le prime attività a rimanere sospesa, dedicando l’ingresso in ospedale e nelle residenze per anziani e disabili a figure solo strettamente sanitarie e tenendo fuori, per ora, l’equipe composta dall’animale e dal suo conduttore e dal team di supporto Gli IAA in questo periodo devono giustamente lasciare il posto alla cura virale e vitale, e questo mettersi in sospensione non può che essere uno spazio di riflessione autocritica.
Passerà molto tempo prima di rientrare fisicamente in reparto e nelle degenze , ma lo faremo in maniera diversa, con criteri di sicurezza ancora più ferrei e protocolli costruiti attentamente, come già adopriamo dal 2009. La visione sul ruolo del cane subirà modifiche e la cura sarà chiamata a rispondere a paure forti, di contaminazione e vissuti emotivi forti.
Questo momento storico, ha portato a cambiare tanti punti di vista, anche quello del possibile contagio: finora l’opinione pubblica valutava solo il rischio dell’animale di infettare l’essere umano. Ora si è “scoperto” che può avvenire il contrario: l’uomo rischia di contagiare il suo amico a quattro zampe.
Come Centro di Ricerca Antropozoa, già da qualche mese stavamo lavorando con gli esperti internazionali sulla cosiddetta “zoonosi inversa”, concentrandosi – anche grazie a un importante convegno organizzato a Firenze nell’autunno scorso – sulle conseguenze fisiche e mentali che la frequentazione di ambienti ospedalieri o di cura, di carceri o di bambini e adulti con problematiche di vario tipo, comporta sull’animale. Un tema importante dal punto di vista clinico e che apre un vasto dibattito bioetico non solo sull’impatto che l’animale ha sull’uomo, ma anche dell’uomo sull’animale.
La pandemia lo ha portato alla luce definitivamente, cambiando punto di vista nella visione della relazione uomo-animale e puntando anche l’attenzione su quanto il bene dell’uno sia legato a quello dell’altro in maniera diretta: una visione “one health”.
Questi giorni, ci stanno anche dando l’opportunità di sperimentare una “pet therapy a distanza” sfruttando le piattaforme digitali, con riunioni da remoto, mantenendo rapporti con chi già conosce i nostri cani per trarne beneficio anche nella relazione virtuale. In realtà lavorando tutti i giorni in ospedale, costretti al fermo solo dalla pausa estiva, avevamo da sempre adottato il vecchio messaggio o la telefonata; ma ora tutto assume un carattere emotivo diverso. E l’incontro reale, lo sappiamo, è tutta un altra cosa.
Quando torneremo a una pet therapy in presenza, vis a vis dovremo ripensare a un nuovo rapporto. Come spiegare a un bambino o un ragazzo disabile che bisogna mantenere una certa distanza precauzionale dagli altri esseri umani e anche dagli animali? Dovremo ripensare a questa relazione.
In tale ottica, quanto sta avvenendo è anche un’opportunità di crescita, di riflessione, di cambiamento, di presa di coscienza, per qualificare gli interventi assistiti con l’animale che partono da una formazione seria, ragionata, fatta di teoria e di pratica.L’approssimazione a questo punto non può più trovare posto, lasciandolo invece alle qualifiche e all’esperienza. Le crisi sono fonte di opportunità. Abbiamo tempo per riflettere come comunità di curanti. Ed è questo il momento per cominciare.