Pet therapy (IAA) tra luci ed ombre
Nel recente intervento al Festival della Salute di Viareggio, che ha visto per la prima volta tra gli argomenti trattati anche gli interventi assistiti con gli animali quale parte integrante del sistema del benessere e della cura, sono emersi alcuni spunti di riflessione interessanti, assolutamente da approfondire.
Uno di questi è il ruolo del veterinario come figura sociale sempre più importante all’interno della società e della comunità. È un professionista che si occupa di relazione, che si occupa dell’animale, ma anche il suo legame con l’essere umano, in un rapporto di fiducia, di supporto, di cura che va oltre il normale rapporto medico-paziente. Non a caso nel nostro modello multidisciplinare di interventi assistiti con gli animali la figura del veterinario è da sempre fondamentale, ed occupa una rilevanza emotiva nella coppia cane conduttore.
È necessario poi sviluppare maggiormente la riflessione etica sull’animale impiegato negli interventi assistiti. Si parla ancora poco del suo benessere in una relazione non sempre facile con l’essere umano che ha bisogni speciali, in ambienti difficili, con atmosfere spesso complesse. Quanto spazio viene realmente dato all’osservazione dell’animale in questi contesti? Al suo benessere? Al suo stato psico-fisico e al suo comportamento nei luoghi di cura, di detenzione, di assistenza agli anziani e ai disabili? C’è ancora troppo vuoto di riflessione nell’ambito della pet therapy sul rischio del cane, sul suo benessere, sul rispetto dei suoi bisogni. Diventa sempre necessario un intervento di IAA?
Altro argomento su cui porre l’accento è il rischio di ipertecnicismo negli interventi assistiti: quando tutto diventa estremamente tecnico, quando la teoria viene applicata alla lettera, si lascia poco spazio al pensiero riflessivo, alla specificità di ogni intervento e alla necessità di adattarlo al momento e al caso particolare, si lascia poco spazio alla molteplici letture del sistema relazionale e all’esperienza. È un ragionamento che necessita di una visone più ampia, legato alla complessità di una disciplina o meglio di un movimento disciplinare che non può essere racchiusa nei confini di pratiche rigide e sempre uguali. Perché la paura del rischio non porti a un rischio ancora peggiore.
L’intervento al Festival della Salute dunque ancora una volta ci porta ad ampliare la riflessione e a porci domande, laddove si parla – non dobbiamo mai dimenticarlo – di una relazione di cura con l’animale e con soggetti allo stesso tempo curati e curanti. Bisogna usare una comunicazione che non sia estremamente medicalizzata, ma improntata all’armonizzazione delle cure.
FM